2016_04_05 Rassegna sulla misericordia all'Odeon - Vigevano

Cinema Teatro ODEON
VIGEVANO VIA MONS. BERRUTI, 2
Lo sguardo Aperto
Rassegna sulla misericordia

Martedì 05 Aprile 2016_04_05 
ore 16,00 - 21,15
«Chiamatemi Francesco»
Temi: Papa, vocazione, rapporto fede e vita,
Argentina, dittatura, povertà, storia.
Ore 20,30 Introduzione

Martedì 12 Aprile 2016_04_12 
ore 16,00 - 21,15
«Fuocoammare»,
Temi: Lampedusa, immigrati, isola, crescita,
adolescenza, mare, dolore, morte, vita.
Ore 20,30 Introduzione Don Massimo Mapelli

Martedì 19 Aprile 2016_04_19 
ore 16,00 - 21,15
«Ritorno alla vita»
Temi: dolore, elaborazione del lutto, colpa,
perdono, famiglia, speranza, emozioni.
Ore 20,30 Introduzione Don Alberto Fassoli

Martedì 26 Aprile 2016_04_26 
ore 16,00 - 21,15
«Marie Heurtin - dal buio alla luce»
Temi: malattia, disabilità, vocazione, cura,
amicizia, famiglia, morte, amore.
Ore 20,30 Introduzione di Suor Antonella Manzin

Ingresso unico € 6,00
Abbonamento 10 ingressi € 45,00
(l’abbonamento è valido per tutta la stagione 2016 e non è personale. Può essere utilizzato anche per più ingressi a singolo spettacolo)
Associati Barriera e tesserati NOI (associazione oratori e circoli) € 4,50
Per info - odeon@labarriera.it oppure 0381-692336 - 3481269711— SITOWEB: www.labarriera.it

«Lo sguardo aperto»: 4 film sulla misericordia
Anche la Barriera sta supportando la straordinaria possibilità offerta da Papa Francesco al mondo con l'indizione dell'Anno santo, promuovendo il binomio cinema e misericordia. 
Attraverso le proposte che verranno offerte con i diversi linguaggi che da sempre sono al centro del palcoscenico e dello schermo, vogliamo essere sostegno vivo per il cammino delle comunità nella scoperta del volto della misericordia.
Da sempre la nostra programmazione si basa su produzioni cinematografiche di qualità. Il volume pubblicato a gennaio dal Centro Ambrosiano, dal titolo “Lo sguardo aperto – 10 film sulla misericordia”, coordinato da Arianna Prevedello e don Gianluca Bernardini, ci ha guidati nelle scelte. 
Consultandolo abbiamo appreso che diversi titoli proposti erano da noi già stati programmati e abbiamo valutato insieme ai nostri curatori della programmazione altre proposte anche queste coerenti con il tema del Giubileo.
Ogni film qui proposto è corredato da una scheda capace di suscitare riflessioni estetiche e pastorali. A realizzarle sono stati autori impegnati nell’animazione cinematografica: queste schede costituiranno un apparato critico capace di offrire delle domande da condividere con il pubblico in sala, allo scopo di allargare il più possibile il senso di comunità attorno al tema giubilare. 
Al centro dei film i diversi ambiti della vita: familiare, sociale e professionale oltre a quello religioso. Questi campi esistenziali narrati dal cinema d'autore saranno esplorati attraverso la categoria della misericordia avendo particolare attenzione al tema della disabilità e della povertà, dell’affettività e della vocazione, dell’accoglienza. 

Martedì 5 aprile 2016 – 2 proiezioni: ore 16,00 - 21,15
Alle ore 20,30 introduzione.
«Chiamatemi Francesco»
il Papa dalla vita in Argentina fino al giorno della sua elezione
Durata: 94 minuti. 
Regia : Daniele Luchetti.
Anno: 2015
Origine: Italia.
Genere: drammatico biografico
Sceneggiatura: Daniele Luchetti, Martín Salinas.
Fotografia: Claudio Collepiccolo, Ivan Casalgrandi
Attori: Rodrigo De La Serna - Jorge Bergoglio (1961-2005), Sergio Hernández - Jorge Bergoglio (2005-2013), Muriel Santa Ana - Alicia Oliveira,  José Ángel Egido - Velez,  Àlex Brendemühl - Franz Jalics, Mercedes Morán - Esther Ballestrino,  Pompeyo Audivert - Monsignor Angelelli, Paula Baldini - Gabriela, Claudio De Davide - Cardinale Tarcisio Bertone,  Andrès Gil - Padre Pedro.

Temi: Papa, vocazione, rapporto fede e vita, Argentina, dittatura, povertà, storia.

Trama: La vicenda umana e pastorale di Jorge Mario Bergoglio dalla sua gioventù fino all'elezione al soglio pontificio come Papa Francesco nel 2013, attraversando le sue esperienze di vita: professore di scuola superiore, giovane Padre Provinciale dei Gesuiti argentini durante gli anni bui della dittatura militare, Arcivescovo di Buenos Aires durante la drammatica crisi economica che ha colpito l'Argentina negli ultimi decenni.

Critica: Quello che oggi è papa Francesco lo si può comprendere guardando quello che è stato il suo passato. Non c’è dubbio per Daniele Luchetti che ha messo in scena la difficile impresa di raccontare la figura di Jorge Mario Bergoglio, dalla sua giovinezza fino al giorno della sua elezione a vescovo di Roma, il pontefice che forse fino a oggi raccoglie grande consenso non solo dalla gente, ma anche dalla maggior parte dei media. Un racconto sincero, che non ne fa certo un santo, ma nemmeno un eroe. Sicuramente un uomo di fede, profondo, capace di relazioni, ma anche preoccupato e, a volte, dubbioso, sebbene determinato nonché coraggioso nel suo ruolo. Quello prima, soprattutto, di Provinciale dei Gesuiti e rettore della facoltà di filosofia e teologia (1973-1981) nella sua terra argentina, negli anni in cui la dittatura e la «teologia della liberazione» hanno segnato radicalmente la storia di un popolo, e poi di vescovo ausiliare di Buenos Aires (1992-1997), accanto ai poveri e ai preti delle periferie. «Chiamatemi Francesco» ne fa dunque il ritratto di una persona credibile, più che del personaggio in sé. Ciò grazie a un cast di attori di tutto rispetto: come il giovane Bergoglio (il bravissimo Rodrigo De la Serna) e l’anziano cardinale (Sergio Hernández) giunto a Roma ormai in età da pensione (bellissima l’apertura del film) prima del Conclave. È questo il valore aggiunto di un’opera che ha rischiato grosso, essendo ancora oggi papa Francesco in vita. Senza chiedere nulla alle istituzioni ecclesiastiche, il regista e il produttore Pietro Valsecchi sono andati alla ricerca di chi l’ha conosciuto in Argentina per cogliere quei tratti quotidiani (particolari significativi su cui la cinepresa si posa) che molti di noi riconosceranno: che vanno dalla sua semplicità alla povertà nella sua vita, dalla sicurezza di sé alla devozione particolare per la Madonna, dalla mitezza di carattere alla fermezza espressa nelle sue decisioni. Un lavoro ben fatto che se non porta alla fede sicuramente invita tutti a fidarsi (credere) in chi davvero «ci crede» e lo testimonia con tutto se stesso. E non è poco al giorno d’oggi. 
di Gianluca BERNARDINI

Martedì 12 aprile – ore 16,00 - 21,15
Alle ore 20,30 INTRODUZIONE DI DON MASSIMO MAPELLI
«Fuocoammare»
amaro spettacolo della vita a Lampedusa e di chi la perde nel Mediterraneo 
Durata: 107 minuti. 
Regia: Gianfranco Rosi.
Anno: 2016
Origine: Italia – Francia.
Genere: documentario
Sceneggiatura: Carla Cattani, Gianfranco Rosi
Fotografia: Gianfranco Rosi, Aldo Chessari -
Attori: Samuele Pucillo - Se stesso, Mattias Cucina - Se stesso, Samuele Caruana - Se stesso, Pietro Bartolo - Se stesso, Giuseppe Fragapane - Se stesso, Maria Signorello - Se stessa, Francesco Paterna - Se stesso, Francesco Mannino - Se stesso, Maria Costa - Se Stessa

Temi: Lampedusa, immigrati, isola, crescita, adolescenza, mare, dolore, morte, vita.

Trama: Gianfranco Rosi è andato a Lampedusa, nell'epicentro del clamore mediatico, per cercare, laddove sembrerebbe non esserci più, l'invisibile e le sue storie. Da questa immersione è nato il documentario che racconta la storia di Samuele che ha 12 anni, va a scuola, ama tirare con la fionda e andare a caccia. Gli piacciono i giochi di terra, anche se tutto intorno a lui parla del mare e di uomini, donne e bambini che cercano di attraversarlo per raggiungere la sua isola. Ma non è un'isola come le altre, è Lampedusa, approdo negli ultimi 20 anni di migliaia di migranti in cerca di libertà. Samuele e i lampedusani sono i testimoni a volte inconsapevoli, a volte muti, a volte partecipi, di una tra le più grandi tragedie umane dei nostri tempi.

ORSO D'ORO, PREMIO DELLA GIURIA ECUMENICA, AMNESTY INTERNATIONAL FILM PRIZE BERLINER, PREMIO DELLA GIURIA DEI LETTORI DEL "MORGENPOST" AL 66. FESTIVAL DI BERLINO (2016).

Critica: «Poveri cristiani», questo il commento di una donna anziana di Lampedusa (e la dice tutta) che ascolta la radio locale mentre dà notizia di una nuova strage di immigrati in mare. Sono, infatti, migliaia le vittime che negli ultimi vent’anni hanno perso la vita nel Mediterraneo alla ricerca di un sogno, di una speranza a cui aggrappare la loro esistenza. Un amaro spettacolo a cui Gianfranco Rosi (Leone d’oro a Venezia con «Sacro Gra» nel 2013) ha voluto assistere, stabilendosi sull’isola per oltre un anno, al fine di restituircelo attraverso la storia di Samuele. Un sereno microcosmo fatto di genuinità e semplicità, in cui il dodicenne, circondato dall’affetto del padre pescatore e della nonna, vive quasi in maniera inconsapevole del dolore che gli gira attorno. Proprio attraverso questo «felice» parallelismo si gioca «Fuocoammare», fresco d’Orso d’oro all’ultimo Festival di Berlino. Senza giudizio e senza voyeurismo il film ha il potere di documentare ciò che accade dentro un paesaggio di una rara bellezza e dietro le ombre nascoste di una società che fa finta (o non vuole) di non vedere. Un po’ come «l’occhio pigro» del ragazzo che, dopo l’esame oculistico, è costretto a bendare per poter esercitare l’altro e mettere ben a fuoco il mondo circostante. Perché così capita, purtroppo spesso, a noi spettatori attoniti che, seduti in sala (o davanti alla tv), mentre guardiamo lo schermo, sebbene ci domandiamo come è possibile fermare, non riusciamo a cogliere del tutto questo irragionevole dolore. Eppure è la stessa umanità che ci accomuna: ci sono persone, volti, storie simile a noi. Ci sono bimbi, donne incinte, giovani simili ai nostri e a quelli di Samuele che seppure vive «in mezzo al mare» ancora non riesce a sopportarne i moti ondosi. Rosi ci riporta così, ancora una volta, non solo davanti, ma dentro la cruda realtà. Lo fa però con maestria; non ce la sbatte in faccia, ci lascia piuttosto la libertà di farci o meno coinvolgere (ma con che coraggio si può oggi rimanere freddi?) dalla verità dei fatti. Il suo è un cinema che ci interpella e chiama in causa la nostra coscienza, come del resto ci ricorda il medico in scena. Un premio, ancora una volta, meritato perché non ci scordiamo di chi ci chiede aiuto. 
di Gianluca BERNARDINI

DON MASSIMO MAPELLI

«LA CARITÀ ? UNA SFIDA E UN’AVVENTURA»
 Da un supermercato a Cesano Boscone per famiglie disagiate a comunità e  cooperative per minori non accompagnati.
Per don Massimo Mapelli il Vangelo è rispondere alle sfide del quotidiano.
 
Don Massimo Mapelli, 44 anni, originario di Merate (Lecco). 
Dentro un capannone, periferia di Rozzano. Tra cataste di legno e muletti che sfrecciano, un gruppo di operai molto giovani si dà da fare: piegati su un tavolaccio di legno, i tappi nelle orecchie, la sega elettrica che stride, riparano i bancali che poi rimpiazzeranno sul mercato. È il loro lavoro, e lì in mezzo c’è il Vangelo. A qualche chilometro di distanza, nello scantinato di un palazzo di Cesano Boscone, otto volontari battono i prezzi in cassa, riempiono gli scaffali con scatole di pasta e verdura fresca mentre decine di clienti fanno la spesa. È il supermercato dei poveri, lì in mezzo c’è il Vangelo.
Ad altri tre quarti d’ora di strada, un nastrino di asfalto si insinua timoroso tra praterie di erba e campi di riso, sbuca tra gli alberi una villa, sotto il portico c’è una tavola apparecchiata, in cucina un adolescente egiziano spadella cous cous. È la comunità di accoglienza dove vivono 23 “minori non accompagnati”. Vogliamo parlare di Vangelo? È come un lavoro di maglia: ogni sferrata intreccia la vita quotidiana alla parola di Gesù: «Non ho fatto altro che prendere il Vangelo e modularlo nell’impegno sociale, ho solo portato la vita di Gesù in quella di tutti i giorni», dice don Massimo Mapelli. In effetti, non fu Gesù che disse ai suoi discepoli di dividere i loro tozzi di pane e i loro quattro pesci? All’inizio anche loro erano perplessi, si chiedevano come si potesse sfamare una moltitudine con così poco cibo, invece poi il miracolo accadde. «Ed è sempre così, anche se ti sembra impossibile, puoi sempre dividere quello che hai, e in questo gesto tutto si moltiplica».
Don Massimo, il padre era presidente delle Acli e assessore ai servizi sociali, la madre volontaria nella parrocchia della città. Dice che ha masticato Vangelo da sempre, ma declinato nella concretezza delle cose, mica la sua semplice lettura. Poi ha sentito chiaramente che la vita di Gesù era affascinante: «È per questo che mi sono fatto prete. Sono attratto dal suo stile di vita, da quel sovversivo pensare secondo cui darsi fino in fondo significa ricevere nuova vita, sono costantemente incuriosito dalla sfida e dall’avventura della carità vera». Dopo diversi anni a Paderno Dugnano, sette come vicepresidente della Casa della Carità e un impegno, tuttora in corso, come responsabile pastorale della zona sesta della diocesi di Milano, don Massimo ha costruito un’incredibile rete di solidarietà.
Nel 2000 ha fondato l’associazione “Una casa anche per te onlus”, ha dato vita a Rozzano alla cooperativa Ies, nella quale oggi lavorano 21 dipendenti (per la maggior parte si tratta di ex minorenni non accompagnati che oggi sono diventati adulti), ha aperto Casa Homer una casa di accoglienza a Zinasco Vecchio per ragazzi stranieri arrivati in Italia da soli, ha aperto Casa Ombfretta per donne sole e maltrattate, da due anni l’emporio solidale, un supermercato a Cesano Boscone per le famiglie disagiate che fanno la spesa gratis, sta partecipando insieme a Libera al recupero di una villa confiscata alla ’ndrangheta a Cisliano. Forse lo possiamo dire: don Massimo Mapelli, il “prete solidale”. di Stefania Culurgioni

Martedì 19 aprile – ore 16,00 - 21,15
Alle ore 20,30 INTRODUZIONE DI DON ALBERTO FASSOLI
«Ritorno alla vita»
Durata: 100 minuti. 
Regia : Wim Wenders .
Anno: 2014
Titolo originale: Every thing will be fine
Origine: Germania, Canada.
Genere: drammatico
Sceneggiatura: Bjørn Olaf Johannessen
Fotografia: Benoît Debie
Attori: James Franco - Tomas Eldan, Charlotte Gainsbourg - Kate, Rachel McAdams - Sara, Marie-Josée Croze - Ann, Robert Naylor - Christopher adolescente, Patrick Bauchau - Padre di Tomas, Peter Stormare - Editore, Lilah Fitzgerald - Mina bambina.
Temi: dolore, elaborazione del lutto, colpa, perdono, famiglia, speranza, emozioni.
Trama: Dopo una banale lite domestica Tomas, uno scrittore, inizia a guidare senza meta intorno alla periferia della città. Lungo il tragitto, l'uomo colpisce accidentalmente un bambino che rimane ucciso. L'evento scatenerà nella vita e nella psiche di Tomas drammatiche conseguenze.

PRESENTATO FUORI CONCORSO AL 65. FESTIVAL DI BERLINO (2015).

Critica: Le cose che accadono nella nostra esistenza sono frutto del destino, del caso o forse di un disegno misterioso che chiede una lettura più profonda e matura? Parte, probabilmente, anche da questo interrogativo l’ultima opera di finzione di Wim Wenders «Ritorno alla vita», dopo i recenti documentari «Sale della terra» (2014) e «Pina» (2011). Tratto da uno scritto dello sceneggiatore norvegese Bjorn Olaf Johannessen, il film narra dodici anni della vita di Tomas (James Franco), giovane scrittore canadese che con la sua auto, a causa di una improvvisa deviazione, investe un ragazzino che sta giocando sulla neve con il fratello minore. Pur senza colpa, l’episodio segnerà profondamente la sua vita e quella di Kate (Charlotte Gainsbourg), madre del piccolo, nonché del fratello Christopher. Tomas negli anni diventerà famoso e si costruirà una famiglia con tanto di figlia che la natura non gli ha concesso di avere, mentre Kate, profondamente religiosa, si prenderà cura di Christopher che crescendo nutrirà una sorta di ammirazione-odio per il suo scrittore «preferito». Il grande cineasta tedesco mette in scena una storia apparentemente convenzionale, dosando immagini, parole (asciutte e misurate), gesti (importanti) e musica (dell’ottimo Alexandre Desplat) con sapiente maestria. Wenders brilla qui per la cura delle inquadrature come per la luce usata che spesso si posa eloquente sui volti dei nostri protagonisti. Luce che rimanda a qualcos’altro, che dice l’accadere del «mistero» nella nostra vita. Quel mistero che molte volte stravolge e segna, ma che pure accompagna provvidenzialmente lo scorrere dei nostri giorni fino alla fine. Non per nulla forse anche il titolo originale «Every thing will be fine» («Ogni cosa andrà bene», ndr) ha un suo senso. Per chi ama il cinema, nel vero senso della parola. di Gianluca BERNARDINI

DON ALBERTO FASSOLI

“Amate per vivere e non sopravvivere; prendere  sul serio l’orizzonte di Gesù vuol dire per ciascuno di noi impostare la vita sull’amore verso gli altri senza pretese egoistiche. L’amore è fatto di ascolto e condivisione. Quando si vive nell’amore di Gesù si vive bene e scatta la gioia.” 

Queste le parole con cui Don Alberto ha salutato i fedeli il giorno del suo insediamento come parroco nella parrocchia dell’Immacolata. Ordinato sacerdote nel 1984, nel 1986 è a Roma per proseguire gli studi di teologia fino al '90. Insegna per qualche anno nel nostro Seminario, poi viene poi incaricato a guidare la comunità di Ferrera Erbognone per quasi vent'anni, fino al 2013. Lì rimette in sesto l'antico oratorio di “San Luigi Gonzaga”, punto di ritrovo per la gioventù del paese e spazio di riflessione per gli adulti. Amante della musica e dell’arte, promuove nel 2000 la nascita di un coro di musica sacra antica, "Silentia Claustri" (dal vigore ancora inalterato). Nel 2015 pubblica "Tra la nuca e l'incontro", una raccolta di poesie sull’amore, la fede e gli affetti.

Martedì 26 aprile – ore 16,00 - 21,15
Alle ore 20,30 INTRODUZIONE DI SUOR ANTONELLA MANZIN
MARIE HEURTIN - DAL BUIO ALLA LUCE
 
Durata: 105 minuti. 
Regia : Jean Pierre Ameris .
Anno: 2014.
Titolo originale: Marie Heurtin
Origine: Francia.
Genere: drammatico
Sceneggiatura:  Philippe Blasband, Jean-Pierre Améris
Fotografia: Virginie Saint-Martin
Attori: Isabelle Carré - Suor Marguerite, Ariana Rivoire - Marie, Brigitte Catillon - Madre Superiora, Noémie Churlet - Suor Raphaëlle, Gilles Treton - Sig. Heurtin, Laure Duthilleul - Sug.ra Heurtin, Martine Gautier - Suor Véronique, Patricia Legrand - Suor Joseph.

Temi: malattia, disabilità, vocazione, cura, amicizia, famiglia, morte, amore.

Trama: Nata nel 1885 sorda e cieca, la quattordicenne Marie Heurtin è incapace di esprimere una comunicazione. Il padre, modesto artigiano, in cerca di una soluzione, si reca presso l'Istituto di Larnay vicino a Poitiers, per affidare la cura di Marie a delle suore. Tra le tante, la giovane suor Margherita ha il coraggio di occuparsi in prima persona di questa ragazza impaurita e selvaggia e decide di provare a farla uscire dall'isolamento e dal buio.

PREMIO RELIGION TODAY FILM FESTIVAL premio 2015 – LOCARNO INTERNATIONAL FILM FESTIVAL premio variety della critica – MILL VALLEY FILM FESTIVAL premio del pubblico.

Critica: E ‘difficile immaginare come sia vivere in un mondo senza suoni e senza immagini.  Con questa pellicola il regista Jean-Pierre Ameris presenta la storia di Marie Heurtin, nata nel 1885 in una casa di contadini in mezzo alla meravigliosa campagna francese che fino all’età di 10 anni vive la libertà nella forma più primitiva, ma limitata dal buio delle sue incapacità. L’amore incondizionato dei genitori purtroppo non basta a crescere una bambina con tali difficoltà, la quale viene portata nel convento delle suore di Larnay. Il primo incontro è turbolento, la bimba percepisce l’imminente distacco dal suo affezionato padre e in preda al panico si rifugia sopra un albero. Solo la coraggiosa Marguerite si avvicina con cautela alla creatura impaurita. Il contatto delle loro mani, del volto, fanno trapelare l’inizio di un rapporto di amore e di fiducia. Malgrado le perplessità della suora madre superiore, con quasi ingenua testardaggine Marguerite accoglie la bambina in convento. Inizia così la missione di Marguerite di illuminare con il sapere l’oscurità del mondo da cui Marie non è mai potuta uscire.
Nonostante l’ostinazione di Marie, Marguerite non si arrende e piano piano le insegnerà che per ogni cosa esiste un nome attraverso il quale le persone possono comunicare, le insegnerà così a diventare parte di una collettività, dove vivrà le gioie degli affetti e i dolori delle perdite. Un film riflessivo che ci ricorda quanto spesso diamo per scontato l’importanza delle parole che non sono solo suoni ma sono anelli di una catena che ci lega gli uni con gli altri. Nicola Conticello 

SUOR ANTONELLA MANZIN

“Far cantare le lodi del Signore” ecco la missione affidata dal Beato Padre Pianzola, prete diocesano ma missionario del Vangelo tra le mondine e i contadini della Lomellina, alle sue suore: le Missionarie dell’ Immacolata Regina Pacis, dette anche suore Pianzoline.
Questa la missione che porta avanti anche suor Antonella, nata nel ‘58 da una famiglia profuga dell’Istria, ha studiato e lavorato a Torino, partecipando alla vita parrocchiale, li conobbe le suore che per lei erano lo “strumento” per cogliere il senso della vita e rispondere al dono della vocazione. E’ li che partecipando con i giovani del suo gruppo alle varie attività decide di donare interamente la sua vita al signore entrando nella stessa congregazione religiosa.
Un primo Si che ha portato a molti altri piccoli e generosi Si più impegnativi, come quello di partire per una missione umanitaria in Brasile e rimanervi per ben undici anni. Attualmente si trova a Vigevano, dove ha partecipato attivamente all’oratorio cittadino e porta avanti la missione di carità e di promozione del Vangelo in ogni piccolo gesto della sua vita.

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